giovedì 15 maggio 2008

Ther’s always a place...


Sì. C’è sempre un luogo dove ci sentiamo riparati, soli con l’armonia di noi stessi; dove ci piace andare quando sentiamo la necessità di isolarci, pensare liberamente; dove il mondo rimane, per alcuni attimi, chiuso nella sua bolla di omertà, mentre ci trastulliamo in qualche ora di pace.
Anch’io ce l’ho. Si trova a parecchi chilometri da qui, al termine di una strada erta e nascosta ai più. Per arrivarci devo passare con l’auto in mezzo al verde, al nulla assoluto, ad un silenzio irreale e compatto. Dopo il primo chilometro c’è una casa antica, con una coppia di novantenni che puntualmente stanno lavorando nel giardino. Quell’abitazione sembra un museo. Sul terrazzo e lungo tutto il prato è pieno di oggetti antichi, alcuni veramente insoliti. In giardino hanno anche un piccolo aereo della seconda guerra mondiale. O della prima. Insomma: non ho l’occhio per queste cose. Ci sono fiori ovunque. Decine di gerani rossi e rosa. Quando passa un’auto i vecchietti si girano, guardando incuriositi nell’abitacolo. D’altronde, quante ne transiteranno in un giorno? Due o tre, credo. È un luogo abbastanza impervio.
Finita la curva della casa-museo c’è un ultimo pezzo di stradina in salita. La mia macchina si lamenta sempre, in quel punto. Decide di essere affaticata. Girato l’angolo, però… ECCOLO. Il mio Eden. Lo stesso che Fratel Coniglietto chiamava "trastulliolà". Quello che mi ha visto nella incorporea nudità assoluta, spogliato e smembrato dei miei pensieri più reconditi e nascosti; testimone delle mie fantasie più vere e crude; ladro di riflessioni e lacrime; spettatore impotente di fronte alla mia disperazione.
Mi aspetta sempre. Come una moglie all’altare. Ma so che lui non scapperà mai. E non dirà “no”. Non lo descriverò, perché lo considero il luogo dei miei sogni, custodendolo come un sacrario, un’intoccabile vetta, il fulcro delle mie meditazioni. Vi assicuro, comunque, che, una volta parcheggiato il veicolo, l’estasi mi si diffonde senza remore. Lì c’è tutto ciò che desidero quando voglio vivermi: canti di uccellini allegri, il rumore dell’acqua come sottofondo, il verde che coccola la vista, un tappeto di foglie e… il silenzio. Quello che ti rigenera, accarezzando le sensazioni.
Ho voglia di tornarci, ma per ora non posso. Nutro il desiderio di rivederlo, di tuffarmici con le mie novità, le mie paure, i miei dubbi. Farlo mio di nuovo. Con quelle pagine ormai ingiallite. Quante ne ho riempite, seduto per terra, guardando il cielo diventare sempre più scuro, fino ad accorgermi che la sera mi avvolgeva silenziosa. Vorrei riaccarezzare ogni singolo centimetro di quella che è stata la mia culla nei momenti più ardui della mia vita. Scoprire se la coppietta di anziani è sopravvissuta a questo lunghissimo tempo di assenza e riappropriarmi della vista di quell’aereo diroccato e testimone di un tempo a noi sconosciuto.
Presto ci andrò. Ormai ne sento il bisogno. È venuto il tempo di sedermi di nuovo sul bordo della mia anima.


“The Heaven? We have to create it. Us. Here.”

2 commenti:

rompina ha detto...

spero tu sia seduto sul bordo della tua anima a contarne i battiti...e che stia bene :o)

Angel Of Silence ha detto...

Non sono più capace di contare i battiti; non riesco a stare seduto qui, mentre mi guardo addosso vedendo solo uno stereotipo di uomo senza futuro; non ricordo come sia "stare veramente bene", essere libero da pensieri cupi e limitativi.
Quello che so fare, però, è concedere al mio cuore d'amare.