Mi sorprendo in una danza degli occhi, incessante e petulante, tutto fuorché sensuale, che scava un percorso a rotazione: orologio –esterno – telefono – orologio –esterno – telefono – orologio…
Stamani il tempo si è fermato. Tutto pare maledettamente immobile e codardo.
Là fuori non si muovono nemmeno le foglie. Persino il vento non osa sfiorarmi.
Il telefono è taciturno. Non s’illumina e sembra essersi quasi spento.
Sono irrequieto. Non so come mai (o, forse, sì). Come se tutto mi stesse per soffocare. Vorrei cominciare a correre e non fermarmi per giorni, in perfetto stile Forrest Gump. Non intravedrei più queste facce, diventate amare, incomprensibili e soverchiamente impudenti. Risate spurie, finte come i loro orgasmi passati. Penso. Penso e ripenso. Mi percepisco come una macchina senza freni, impossibilitato nel circoscrivere queste riflessioni che mi strozzano l’anima.
Tra un concetto e l’altro, una velata ed invisibile carezza mi rammenta una poesia di Pavese. L’imparai senza interesse parecchi anni or sono, ma rimase nel mio cuore. Devo ascoltarla, devo concepirne il significato. Perché mi è risalita nell’encefalo proprio ora, oggi? Voglio spogliarla. Farla mia. Possederne ogni lettera, penetrare ogni punteggiatura, finché da essa non sarà nato un motivo, il figlio di una meditazione conscia e sagace.
Stamani il tempo si è fermato. Tutto pare maledettamente immobile e codardo.
Là fuori non si muovono nemmeno le foglie. Persino il vento non osa sfiorarmi.
Il telefono è taciturno. Non s’illumina e sembra essersi quasi spento.
Sono irrequieto. Non so come mai (o, forse, sì). Come se tutto mi stesse per soffocare. Vorrei cominciare a correre e non fermarmi per giorni, in perfetto stile Forrest Gump. Non intravedrei più queste facce, diventate amare, incomprensibili e soverchiamente impudenti. Risate spurie, finte come i loro orgasmi passati. Penso. Penso e ripenso. Mi percepisco come una macchina senza freni, impossibilitato nel circoscrivere queste riflessioni che mi strozzano l’anima.
Tra un concetto e l’altro, una velata ed invisibile carezza mi rammenta una poesia di Pavese. L’imparai senza interesse parecchi anni or sono, ma rimase nel mio cuore. Devo ascoltarla, devo concepirne il significato. Perché mi è risalita nell’encefalo proprio ora, oggi? Voglio spogliarla. Farla mia. Possederne ogni lettera, penetrare ogni punteggiatura, finché da essa non sarà nato un motivo, il figlio di una meditazione conscia e sagace.
"Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi."
"Se non guardassimo un'emozione come un panorama mozzafiato, il cuore lo percepirebbe come un tradimento."
2 commenti:
la vita va avanti...anche senza il nostro permesso.
e forse la sensazione d'angoscia che proviamo di tanto intanto e' dovuta alla nostra ostinazione nel rimanere immobili...stai provando a muoverti?
stai facendo qualcosa?
PS: spesso alle emozioni si da il nome sbagliato...ed e' per questo che a volte tradiamo il cuore senza neppure accorgecene...
A volte la sensazione di angustia è dovuta a quello che dici. Ma non è il mio caso. Non sono mai rimasto immobile ed ora mi sto muovendo più del solito. Sto facendo molto più di "qualcosa" e riesco anche a sorprendermi di me stesso. Perciò l'enigma rimane.
Attribuire un nome errato alle emozioni è un'azione che commettiamo in due casi: o ci fa comodo, oppure non sappiamo guardare.
Posta un commento